È uno spettacolo guardarlo mentre libera la sua corsa naturale e progressiva, ed è un piacere scoprirlo così timido e sereno, ma anche solido e serio. Dietro quel monumento di ragazzo sembra quasi di vedere la fatica che ha fatto per arrivare fino a qui, l’impresa (riuscita) di sgombrare i dubbi di chi non lo riteneva all’altezza di giocare in questo Napoli delle meraviglie. Figurarsi di sostituire uno che ormai veniva ritenuto uno dei più forti esterni sinistri d’Europa. «E adesso, pure se Ghoulam fosse pronto, farebbe fatica a togliere il posto al mio Mario. Perché nessuno fa la fase difensiva come Rui», dice orgoglioso il suo manager, Mario Giuffredi.
Il riscatto, la rivincita, quella vendetta che, si sa, va servita fredda. «Me lo aveva promesso, mi aveva detto che si sarebbe tolto questo sfizio: quasi se lo sentiva. Era in palla e quando l’ho visto andare a calciare la punizione mi sono detto: se ci va e perché sa che segnerà», confessa ancora il suo manager. L’altra sera a Cagliari è stato Rui ad allontanare il resto della squadra e a dire: ci penso io a battere questa punizione. Non è cosa di poco conto per uno che non segna praticamente mai: eppure quest’anno è già a due reti, anche se quella con la Lazio è una specie di multiproprietà con Zielinski. Stavolta non ci sono dubbi, non bisogna attendere il comunicato della Lega. Prima di quest’anno, per trovare la sua ultima rete, bisognava risalire ai tempi del Gubbio, in serie B, 6 anni fa. Era il 6 aprile del 2012, gli umbri persero contro il Cittadella. In tutto, di gol in vita sua ne ha fatti tre.
Un gol alla Maradona, col piede sinistro, a girare ed aggirare la barriera dei sardi. Il Pibe de oro non lo ha mai visto giocare ma quella parabola, con la maglia azzurra, e col piede sinistro, non può che avvicinare alle magie dell’argentino. «L’ho chiamato e glielo ho detto: hai fatto lo stesso gol di Diego in un Napoli-Juve di tanti anni fa… lui ha ascoltato in silenzio e poi mi fa: ma stai bene?».
Il giovane Mario ha sempre avuto il corpo dell’atleta perfetto, uno e settanta per 65 chili. Non è mai stato un predestinato, un bambino d’oro del calcio portoghese. Appariva bravino in tutto ma bravissimo in niente. Però non mollava mai. E così a 12 anni va allo Sporting Lisbona, a 17 anni va a giocare a Valencia, poi torna a Lisbona ma per indossare la maglia del Benfica e dopo al Fatima: infine approda in Italia per giocare, in ordine, col Parma, Spezia, Gubbio, Empoli e infine Roma.
Le gambe corte, così diverso da Ghoulam. Le generazioni si accavallano, i destini si danno appuntamento come gli innamorati e poi stanno lì ad aspettarsi. Col Cagliari, all’andata, i primi minuti con la maglia azzurra. «Non è stato semplice: all’inizio dell’avventura in azzurro lo sostenevo, gli davo il coraggio, gli dicevo che era giusto aspettare il momento in cui Sarri lo riteneva pronto. Poi ho perso le staffe, lo vedevo molle, depresso perché non giocava mai. E allora sono esploso: Non dovevo portarti qui, non ti meriti questo contratto. Sapevo che avrei toccato le corde della sua dignità, perché è un ragazzo che ha sofferto. E da quel momento ho visto un altro Rui».
Sabato la sfida con la Roma ha un sapore speciale: si ruppe il crociato durante un allenamento a Boston, in pieno luglio. Per uscire dall’incubo ci ha messo più di un anno. Ed è diventato protagonista proprio perché un altro è caduto in quell’incubo: il crac del ginocchio di Ghoulam per qualche settimana ha fatto precipitare tutti nella disperazione: oddio, cosa si fa adesso? E via al casting del nuovo terzino sinistro. «Ma lui era sereno, anche se certi giudizi erano pesanti, offensivi, spropositati e a lui lo hanno colpito. Ci fu persino chi disse che era un mezzo giocatore, per via dell’altezza. Secondo voi è un caso che con Rui in campo di gol, il Napoli, non ne prende più?», sbotta ancora Giuffredi. I due momenti chiave: «La gara col Milan, quando ha capito che era all’altezza del Napoli e poi a Bergamo, quando ha mostrato di essere davvero bravo».
Con la Roma sabato non c’è nessuna voglia di riscatto. Non ha rancore per la stagione trascorsa nella Capitale in attesa di qualcosa che non è mai arrivato. Giuntoli, per convincerlo, ha fatto quasi azione di mobbing, presentandosi persino a casa sua, a Casal Palocco. Neppure qui a Napoli ha preso la patente. Se alla Roma era Rudiger a fargli da autista, qui a Castel Volturno ci arriva in auto con alla guida Pepe Reina. «Niente, non riesce a prendere la patente», dice divertito. Ieri, senza allenamento, Giuffredi non ha dubbio di come avrà trascorso il tempo libero. «A casa, davanti alla playstation. Renata non sa come smuoverlo dalla tv. Hanno due figli: lui è il terzo, quello piccolo che sta sempre a giocare quando non si allena…». Mario Giuffredi e Mario Rui sono legati da amicizia profonda, fraterna. Anche perché Giuffredi è fatto così: tratta i suoi ragazzi come persone di famiglia. «Ma la vera famiglia è il Napoli: Rui è convinto che il traguardo-scudetto è davvero vicino…».