«Fabio, Mariarosa, li vedete i piedi? Vostro figlio farà il calciatore». Il dottor Ciro Minervini non ha dubbi. Siamo all’ospedale Manzoni di Lecco e il piccolo Andrea Conti ha appena visto la luce. Ma il suo destino pare già segnato. Minervini purtroppo non fa in tempo a vedere avverata la profezia, muore nel 2010 quando quel bimbo è ancora una giovane promessa dell’Atalanta. «Chissà che ci direbbe oggi se fosse ancora qui», dice papà Fabio, mentre con gli occhi si tuffa nei ricordi di quel 2 marzo 1994. Ventitré anni dopo il piccolo Andrea è diventato grande, in campo e fuori. Nove gol in Serie A, 7 quest’anno, l’ultimo alla Juventus campione d’Italia, e la sensazione che ne arriveranno tanti altri. In fondo, è questione di piedi.
IL CAMPO DI GHISAIn casa Conti, nel piccolo quartiere della Bonacina, la palla rotola di continuo. Che sia da tennis o di carta poco importa. Luca, il figlio più grande, già gioca a calcio. Andrea dovrà aspettare ancora un po’ e intanto stuzzica il fratellone tra i corridoi di casa. Mamma Mariarosa sopporta, già papà Fabio aveva la testa nel pallone. Centrocampista, era arrivato sino alla Berretti del Lecco, ma, stanco di aspettare una chiamata in prima squadra, aveva appeso le scarpe al chiodo. Per Andrea il viaggio è invece appena iniziato. Il 2 marzo 2002, giorno del suo ottavo compleanno, arriva la prima partita ufficiale. Ha la maglia del Lecco, si gioca a Merate. Vince 13-0, Conti ne segna due e finisce pure sul giornale locale. «Mai visto uno così forte a quell’età», racconta Gianluigi Capello, responsabile del settore giovanile del Lecco nei primi anni Duemila e suo primo scopritore. Nella stagione seguente, il Lecco fallisce e Conti si trasferisce alla Virtus Malgrate Valmadrera. Si allena su un campo color grigio cemento e alla fine di ogni partitella non si contano le ginocchia sbucciate. «Andrea lo chiamava il campo di ghisa, perché era duro e ruvido. Tanti mollavano o si stancavano delle botte, lui non saltava mai un allenamento».
MILAN NO, ATALANTA SÌ Gli osservatori delle squadre professionistiche cominciano a segnarsi il suo nome sul taccuino. Arriva il Milan, Conti va a Linate a sostenere un provino. Lo passa, ma il suo futuro non è rossonero. «Ha fatto 3-4 allenamenti, ma non gli piaceva il campo. Gli davano fastidio gli aerei sopra la testa…». Niente Milan, c’è l’Atalanta, che versa subito nelle casse della Virtus 1.550 euro, più una serie di bonus per gli anni a venire. L’Inter prova a inserirsi all’ultimo, addirittura smuovendo Beppe Baresi. Ma è troppo tardi. I giorni d’allenamento aumentano, i viaggi in pullmino pure. Andrea va a scuola, gioca a calcio e studia alla sera. La sua stanza è tappezzata di maglie e poster, il suo idolo è Sergio Ramos. Tra i banchi se la cava e non vuole essere secondo a nessuno. «Un giorno, in quinta elementare, prese un richiamo dalle maestre – racconta il padre –. Si era messo in testa che doveva essere il primo a consegnare un compito in classe e quando una compagna si è alzata per anticiparlo, lui le ha fatto lo sgambetto». Testa dura, quel Conti. Se vuole una cosa, deve ottenerla. All’Atalanta fa amicizia con Caldara, Grassi e Gagliardini. Fuori, mantiene la compagnia di sempre. «Era già nel giro della Nazionale Under 17, ma quando tornava a casa andava a giocare a calcetto con i suoi amici d’infanzia». S’iscrive a ragioneria e i pochi momenti liberi li spende in motorino, a «fare le vasche» sul lungolago o nella centralissima via Cavour. Sugli orari non sgarra mai. «Gli dicevamo di tornare alle 23, lui alle 23 e 03 era già a letto», dicono fieri i genitori. Il motivo è semplice: Andrea ha già ben chiaro il suo obiettivo. «Papà, ora lo so, farò il calciatore», confessa tornando da una trasferta. Ha appena 14 anni…
TERZINO E ZIO Sul campo le cose vanno bene. All’Atalanta ruotano tutti e un po’ come all’Ajax si cambia spesso ruolo. «Ha dovuto fare persino il portiere una volta. E gli è pure piaciuto», scherza Fabio. In Primavera diventa terzino in pianta stabile. Il vizio del gol però non lo abbandona. Ne fa 6 in un campionato, poi arriva il momento di fare il grande passo. Nel 2013 Conti va in prestito al Perugia, è la prima stagione da professionista. I primi mesi sono duri, gioca col contagocce e la vita lontano da casa a 19 anni non è tutta rose e fiori. Poi conosce il suo attuale agente, Mario Giuffredi, e le cose migliorano in fretta. «E’ un secondo padre, mi ha cambiato la carriera», dice Andrea. Dopo Perugia, ecco il Lanciano, quindi il ritorno all’Atalanta. Conti cresce. Si appassiona di cucina, perché mamma Mariarosa non può venire tutti i giorni a preparargli l’amata carbonara. «Allo stadio mia moglie non va. Quando ci sono le partite, io sto in tribuna, lei va a casa di Andrea a fare le pulizie», racconta Fabio. La mamma è sempre la mamma. Il fratello Luca invece gli regala due splendide nipotine. Cui si aggiunge Arturo (omaggio a Vidal…), il bassotto che Andrea si è comprato e ha sistemato a casa dei suoi.
CAMPIONE Il gol alla Juve l’ultima ciliegina sulla torta di una stagione da sogno. «Per la prima volta mi sono trovato a esultare per una rete subita dalla mia Juve. E pensare che portai Andrea al Delle Alpi a vedere uno Juventus-Atalanta come battesimo allo stadio», confessa papà Fabio, tifoso bianconero doc. C’è da completare l’opera con la conquista dell’Europa con l’Atalanta e l’Europeo in Polonia con l’Under 21. Alla Bonacina ci tengono. «Mi fermano tutti i giorni per chiedermi di Andrea, qui ci conosciamo tutti ed è un po’ un orgoglio per tutti quello che sta facendo», spiega Fabio. Il ragazzo di Lecco è in gamba, ha ancora tanto da dare. E il resto della storia forse è già scritta nei suoi piedi.
Fonte – Gazzetta dello Sport